lunedì 14 dicembre 2009

Spettacolo teatrale MANDRO DROM

Lo spettacolo sarà rappresentato a Roma il 20 dicembre alle ore 21.00 al Teatro Lo Spazio (zona S. Giovanni in Laterano)

La prenotazione va fatta inviando una email all'indirizzo


oppure telefonando al numero

06-77076486 dalle 16.00 alle 19.30

giovedì 10 dicembre 2009

altri 6 bambini a Tor de Cenci ... Un articolo di Stefano Galieni su Liberazione di oggi

Nov. 20th, 2009 at 3:18 PM

il più piccolo ha 3 mesi, il più grande 10 anni.
Sono 6 bambini nati, come cantava Pino Daniele, "sotto un accento sbagliato", ma forse è meglio dire in un Paese sbagliato.
Vivevano fino a ieri in una baracca nel campo rom di Tor de Cenci, a Roma, uno dei tanti a volte tollerati, su cui spesso si lucra, e che ancora più spesso si spianano con le ruspe.
Fino a ieri con i loro genitori, fino a quando cioè il personale dell'Ufficio Minori della Questura, ha eseguito una sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma.
I 6 bambini sono stati considerati in "stato di abbandono" e quindi affidati ad una "casa famiglia".
Bambini di serie B, oggetti per cui i tanti richiami alla sacralità del nucleo familiare non valgono, minori che avevano anche iniziato progetti positivi di inserimento nel circuito scolastico.
Bambini che l'Italia della pulizia etnica non vuole.

O meglio, li vuole normati, assimilati, privati della propria complessità, ridotti a sintesi omogenea e non foriera di contraddizioni.

Si sequestrano i minori rom per sottrarli all'accattonaggio, come affermano i solerti amministratori pubblici, ma guai a provare a garantire alle famiglie intere l'opportunità di vivere in condizioni migliori.
Accade nella Roma di Alemanno, dove prosegue la campagna degli sgomberi tipica del preludio di ogni campagna elettorale, accade a Milano.
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Sempre ieri nel capoluogo lombardo, in Via Rubattino, sono stati cacciate via all'alba circa 200 persone, in gran parte minori.
Denunciano gli avvocati del Naga, che, al solito, non si è neanche rispettata la normativa nazionale e internazionale, quella che prevede una notifica preventiva, una consultazione e un dialogo con gli interessati. L'amministrazione comunale da questo punto di vista ha fornito una risposta univoca: "accoglienza" nelle strutture comunali per donne e bambini, nulla per gli uomini.
Il vice sindaco De Corato ha orgogliosamente affermato che con questo che è il 166° sgombero di restituisce alla città un'altra fetta abbandonata al degrado.
I consiglieri comunali Gentili (Pd) e Quartieri (Prc) hanno duramente condannato l'intervento, ricordando come con le ruspe si sia interrotto il percorso scolastico di almeno 40 bambini nelle scuole del quartiere. Per una curiosa coincidenza, l'intervento di sgombero avviene ad una settimana esatta dall'udienza relativa al ricorso presentato da tre avvocati rispettivamente del Naga, di "Avvocati per niente" e dell'Asgi Lombardia" nominati dagli abitanti del campo.
I legali, ravvisando il rischio preventivo di vedere i loro assistiti privati dei diritti fondamentali: casa, salute, istruzione, privacy ecc.. se erano rivolti al tribunale per chiedere che tali diritti venissero tutelati.
Lo smantellamento del campo ha ostacolato l'accertamento giudiziale dei diritti in questione e impedirà ai bambini di andare a scuola.

Il giudice dovrà però il 26 novembre pronunciarsi in merito alle richieste volte a garantire il diritto all'istruzione e ad una abitazione.
Si prospetta una notte all"addiaccio per oltre 100 persone, sono solo 6 i nuclei familiari che hanno trovato altra sistemazione o che hanno accettato di essere separati.
Senza alcuna remora morale, contemporaneamente allo sgombero, l'assessore alle politiche sociali Moioli celebrava in pompa magna l'anniversario della Carta dei diritti dell'Infanzia, ratificata dalla sua promulgazione dall'Italia ma evidentemente non valida per rom e migranti.

In giornata è stato anche sgomberato un campo a Sesto San Giovanni (amministrazione di centro sinistra) mentre permane problematica la situazione di Pisa dove il sindaco, sempre di centro sinistra, ha deciso di chiudere una delle esperienze più positive realizzate in Italia per far fronte alle difficoltà di inclusione, il progetto "Città sottili".
Coloro che hanno dato vita al progetto stanno raccogliendo firme in tutta Italia per chiedere che tale progetto venga invece portato avanti.

Il razzismo elettorale che tanto consenso sta riscuotendo nel paese degli "Italiani brava gente", porta sempre più persone per strada, rom e migranti innanzitutto, vissuti e utilizzati come immondizia di cui liberarsi. Per numerosi cittadini rom, anche nati in Italia, e sgomberati in queste ultime settimane si sono aperte le porte dei Cie.
Detenzioni inutili- nessuno potrà mai essere rimpatriato - e unicamente cattive, dato il peggioramento delle condizioni di vita nei Cie.
Proprio per protestare contro questo deterioramento e per chiedere la chiusura del Cie di Ponte Galeria, oggi pomeriggio alle ore 17 si terrà un presidio di fronte all'ingresso principale dell'Ospedale Forlanini a Roma, dove è attualmente in cura un uomo recluso nel Cie e che ha probabilmente rischiato di morire per incuria.

Stefano Galieni

mercoledì 9 dicembre 2009

Mario Luperini


Chi era Costui - Scheda di Mario Luperini

Scheda

Nome e Cognome: Mario Luperini
Milano 1920 - Mauthausen, A 1945
Dove abitava: via G.Colombo 62 - Milano (Città Studi)

Il suo compagno di prigionia Enea Fergnani, sopravvissuto al campo di concentramento, lo ricorda nel suo libro "Un uomo e tre numeri - San Vittore, Fossoli, Mauthausen"

giovedì 22 ottobre 2009

ZINGARI IN SCENA: PRESENTIAMO LA COMPAGNIA “THEATRE ROM”

La cultura e le tradizioni del popolo Rom si esprimono per lo più attraverso la musica e i racconti orali. Non esiste praticamente niente di scritto, né musica, né letteratura, né altre espressioni artistiche, che quindi si tramandano tra le generazioni solo con le parole e l’insegnamento pratico.

L’evolversi degli stili di vita, l’abbandono pressoché totale del nomadismo, la necessità di inserirsi nel tessuto sociale urbano, soprattutto da parte dei giovani, rischiano di far disperdere un patrimonio culturale dalle radici antichissime, o di renderlo preda della modernizzazione, stravolgendone l’identità.

Da tempo si assiste, nel mondo degli appassionati dello spettacolo, ad una tendenza (che si sta trasformando in moda) verso la musica e la cultura Rom, prevalentemente d’origine balcanica. A questo evidente entusiasmo non si accompagna però, da parte degli spettatori, un altrettanto evidente bisogno di conoscere da che cosa e da chi lo spettacolo trae le sue origini: molti “intenditori” si fermano alle musiche di Goran Bregovic o ai film di Emir Kusturica, e niente invece sanno delle vere radici della storia dei “gitani”, né delle loro attuali condizioni di vita nelle aree cittadine.

IL PROGETTO

Dall’incontro di un gruppo di Rom, appassionati di musica e teatro, nasce la voglia di mettere insieme questi interessi comuni, per dare vita a spettacoli teatrali, nei quali i protagonisti siano Rom e gagè insieme.

L’ideatore di questo progetto è Antun Blazevic, che attualmente collabora come mediatore culturale Rom con diverse associazioni. Lo affianca un gruppo di musicisti Rom e gagè e delle danzatrici.

Questi spettacoli teatrali vogliono essere l’occasione per vivere e proporre al pubblico la possibilità di collaborazione artistica e lavorativa tra Rom e gagè, raccontando le origini, la cultura e le tradizioni di questo popolo così presente nelle nostre città e così sconosciuto.

LO SPETTACOLO

Questo spettacolo si intitola “MANDRO DROM” (IL MIO VIAGGIO), narrato da un cantastorie che racconta il viaggio di un ragazzo Rom, che parte dall’India nel lontano passato e giunge in Italia nei tempi recenti.

Il viaggiatore parte dal suo paese di origine con la giovane moglie e, attraversando paesi sconosciuti, arriva in un paese del sud, dove il figlio più giovane incontra una ragazza del luogo e la sposa.

Il viaggio è pieno di incontri, di situazioni di vita quotidiana, alcune divertenti altre gioiose, ma anche di avventure dove il protagonista si scontra con la diffidenza, la paura dello straniero. Emerge il suo amore per la bellezza, il suo desiderio di pace, il suo orrore per la guerra, che non viene compreso ma invece scambiato per vigliaccheria.

Il cantastorie continua il suo racconto con le vicende del popolo Rom durante la seconda guerra mondiale, dove ancora una volta è stato solo una vittima dell’ignoranza e del razzismo.

La sua narrazione viene interrotta da vari brani musicali e danze (Flamenco, danza del ventre, danza Indiana e Tammurriata), che si inseriscono per mettere in risalto le situazioni descritte.

I COMPONENTI DI “THEATRE ROM”

Antun Blazevic (“Tonizingaro”), autore del soggetto e dei testi, attore e regista

Federica Lobar, collaboratrice

Gruppo Gipsy Balcan e Gruppo FlorNegra, musica e danze

Alessandra Lissoni – Amministrazione e comunicazione

mercoledì 5 agosto 2009

Roma: Ancora pestaggi al Cie di Ponte Galeria

Un racconto tremendo, e un appello, dal Cie di Ponte Galeria. Nella serata di lunedì arriva nel Centro un gruppetto di algerini, appena trasferiti da Bari Palese. Tra di loro c’è anche un ragazzo gravemente malato di cuore, che si lamenta e protesta: la polizia non ha provveduto a portare da Bari le medicine che deve prendere ogni giorno. Invece di procurare i farmaci, i poliziotti lo portano in infermeria e poi nella cella di sicurezza. Lì lo massacrano di botte, stufi di tutti questi stranieri sempre pronti a lamentarsi.Quando lo riportano in sezione è pieno di lividi e sangue. Lui è malato di cuore per davvero e durante la notte si sente malissimo: i suoi compagni danno l’allarme, e il malato lascia il Centro a bordo di una ambulanza. La mattina dopo i suoi compaesani, che stanno raccontando in giro gli avvenimenti della notte, vengono raggruppati e portati via. Tutti pensano ad un rimpatrio, e solo la sera si scoprirà che in realtà il gruppo è stato messo in “isolamento” nel reparto delle donne. Intanto, durante tutto il giorno, del ragazzo malato di cuore non si ha più alcuna notizia.Passano le ore, e i reclusi del Centro si ricordano di Salah Soudami, morto soltanto cinque mesi fa in circostanze pressoché identiche, e pensano al peggio.Così chiedono aiuto ai solidali che stanno fuori dai Centri e lanciano un appello dai nostri microfoni: vogliono avere notizie del loro compagno. Vogliono sapere come sta, se è vivo o morto, e dov’è. Lo hanno chiesto alla Croce Rossa e non hanno avuto risposta. Lo hanno chiesto pure agli agenti, e anche loro sono stati zitti: del resto, si sa, i poliziotti sono buoni solo a massacrare di botte i malati di cuore.

Dal Blog "OSSERVATORIO sulla REPRESSIONE"

mercoledì 29 luglio 2009

Unità d'Italia??

Sempre dal settimanale Famiglia Cristiana, riporto quest'altro articolo, che mi sarebbe piaciuto leggere anche su quotidiani e settimanali della cosiddetta "sinistra italiana".

È ancora una nazione questa Italia lacerata da crescenti tensioni tra nordisti e sudisti, senza più senso di appartenenza e identità? Disfatta l’Italia siamo passati a disfare gli italiani.

Nessuno ha chiesto scusa a Mohamed Hailoua, il giovane marocchino, residente in Italia dal 2004, escluso dall’assunzione all’Atm di Milano perché extracomunitario e poi riammesso dal tribunale del lavoro, che ha definito "discriminatorio" il comportamento dell’azienda trasporti milanese.

Come nessuno chiederà scusa ai presidi del Sud che il Consiglio provinciale di Vicenza non vuole dalle loro parti; o al ragazzo napoletano costretto a cambiare scuola a Treviso perché emarginato e offeso dai compagni.

Ebbene, lo facciamo noi a nome della gran parte degli italiani che ancora si indigna e rifiuta una deriva xenofoba. È il risultato di una politica che mira a escludere non a integrare; e che si sta declinando in una miriade di fatti preoccupanti in tutto il territorio: dalle botte alla signora senegalese in un giardino pubblico di Torino, ai pesanti e volgari cori contro i napoletani nei raduni leghisti.

In mezzo c’è la richiesta di non far salire cinesi e zingari sugli autobus di Firenze, perché "puzzano"; quella dei vagoni della metropolitana di Milano riservati agli italiani; la negazione della cittadinanza a un egiziano nella Bergamasca perché non conosce bene la grammatica italiana (proviamo a fare lo stesso con i nostri connazionali?). La "cattiveria politica", sdoganata da un ministro della Repubblica, è entrata nelle scelte di vita quotidiana, e ogni azione che "separa" è accolta dal grido: «Finalmente, era ora!». Il professor Alessandro Campi, direttore della Fondazione Fare futuro di Gianfranco Fini, ha commentato: «La Lega e il leghismo hanno vinto la loro scommessa disgregante sul piano emotivo, mentale e della sensibilità collettiva».

È un’amara constatazione, mentre ci si avvia alla celebrazione dei 150 anni dall’unità d’Italia. È ancora una nazione questa Italia lacerata da crescenti tensioni tra nordisti e sudisti, senza più senso di appartenenza e identità, tutti contro tutti, e ciascuno per suo conto, come scrive il sociologo Ilvo Diamanti? Non ci va più bene neppure Cinecittà a Roma, ora si invoca Cinepadana per purificare l’accento troppo romanesco delle fiction tivù. Anche Sordi, l’Albertone nazionale, rischia di finire sacrificato sull’altare del "sacro egoismo territoriale", diventato strumento di consenso. E, spesso, di ricatto.

L’ultima trovata di una "politica creativa" si è avuta durante il dibattito sul decreto anticrisi: «Non perdiamo di vista l’obiettivo della tutela delle famiglie e delle imprese del Nord, perché saranno loro a tirarci fuori dalla crisi». Parola di un deputato del Carroccio. Benvenuti, quindi, nella nuova "disunità d’Italia". Disfatta la nazione, siamo passati a disfare gli italiani! E così assistiamo alla nascita di un partito del Sud, mentre il Nord si arrocca nella sua presunta purezza padana, e il criterio della residenza viene annoverato tra i diritti per accedere a un posto di lavoro.

E anche l’integrazione degli immigrati si vela di discriminazione se il ministero delle Pari opportunità propone una commissione per la salute delle donne immigrate. E per i maschi irregolari? Non ci vorrà molto tempo, di questo passo, per sradicare dalla coscienza del Paese l’art. 3 della Costituzione italiana. Lo riproponiamo, perché ognuno rifletta: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Vogliamo ancora essere una nazione?

NEL PIENO RISPETTO DELLA LEGALITÀ

Riporto qui di seguito la risposta che Don Antonio, del settimanale Famiglia Cristiana, scrive ad una signora "bene" del nord-est italiano.

Al Meeting Anti-razzista di Cecina, il 12 luglio 2009, Moni Ovadia ha definito Famiglia Cristiana come il foglio più rivoluzionario che attualmente esiste in Italia.


"Sono un’abbonata 55enne e leggo la rivista da quand’ero bambina. Apprezzo Famiglia Cristiana, ma voglio manifestarle qualche perplessità su alcune vostre posizioni in merito all’immigrazione. Abito in un quartiere di una città del Nordest. In mezzo alle casette e ai piccoli condomini della mia zona (considerata peraltro "periferia povera"), per anni abbiamo dovuto subire la presenza indisturbata di giovani nordafricani dediti allo spaccio e alle ubriacature, di prostitute con il loro giro di clienti, nonché di drogati.

Abbiamo assistito a zuffe e accoltellamenti, con persone finite in ospedale e, in due casi, conclusi con l’omicidio. L’aumento della sporcizia ha portato a situazioni igieniche inimmaginabili. Che fare quando vigili urbani, polizia e carabinieri, quelle poche volte che vengono, chiamati da cittadini esasperati, se ne vanno senza intervenire? Che fare, dopo aver spedito decine di lettere, esposti e denunce ai nostri amministratori?

Ebbene, quando abbiamo deciso di scendere in strada per disturbare con la nostra presenza spacciatori, prostitute e clienti, apriti cielo! I giornalisti, e anche voi, vi siete scatenati, chiamandoci "ronde" in modo spregiativo, mentre il nostro intento non era né violento né razzista! Sappia che nel mio quartiere ci sono associazioni di volontariato (cattoliche e non) che aiutano gli immigrati onesti a trovare casa e lavoro, assistono i loro bambini a scuola e tengono corsi di italiano per gli adulti. È razzismo chiedere che l’illegalità venga combattuta? Tutti vogliamo che gli immigrati si integrino, ma possiamo pretendere il rispetto delle regole di una civile convivenza? È giusto aiutare chi sbarca in Italia fuggendo da povertà e guerre (nessuno potrà fermarli), ma non si può lasciare che questa gente sia allo sbando nelle nostre città.

Insegno in una scuola superiore e, come nel resto d’Italia, anche nel mio Istituto abbiamo visto crescere, anno dopo anno, il numero di alunni stranieri. Sono convinta che culture e tradizioni diverse aprano la mente dei nostri ragazzi, e li arricchiscano spiritualmente e culturalmente. Ma, al tempo stesso, ricordo quante difficoltà ho avuto con i "nuovi" alunni provenienti da altri Paesi. Per questo, ho ritenuto molto positiva la soluzione del Governo di fare delle classi separate e, dopo qualche mese di corsi intensivi di lingua italiana (e, perché no, di conoscenza della nostra cultura e delle nostre tradizioni), metterli assieme agli altri alunni. Perché tacciare di razzismo questa proposta? I problemi epocali che stiamo vivendo non saranno risolti facilmente, ma bisognerà pur governare l’emergenza.

Ci tengo a precisarle che non sono iscritta ad alcun partito, e che il mio intervento non ha alcuno scopo politico. Anzi, se deciderà di pubblicare la mia lettera, lo faccia dopo le elezioni! La saluto con tanta cordialità.

Loredana - Padova



Le tue due richieste, cara Loredana, mi sembrano entrambe ragionevoli e condivisibili. Riguardano tutt’e due il trattamento sociale da riservare agli immigrati e il rifiuto di considerare alcune misure restrittive come razzismo.

È razzismo esigere che venga rispettata la legalità, combattuto il crimine e contrastato il degrado urbano? Direi proprio di no. Purché queste esigenze valgano per tutti. Al di fuori della legge, purtroppo, non vivono solo gli immigrati, ma anche tanti nostri connazionali. Alcune imprese criminali (traffico di droga, sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù dei lavoratori irregolari, trasformazione delle abitazioni in dormitori per clandestini...) sono opera congiunta di delinquenza di casa nostra assieme a quella di importazione. Talvolta, i nostri sono la mente, gli stranieri solo il braccio. Non è buonismo se chiediamo che la legge e l’ordine siano fatti rispettare anche dagli italiani: se non si agisce su tutto il sistema criminale, ogni sforzo di repressione è inutile.

Un’altra condizione per non essere accusati di razzismo è saper distinguere tra gli immigrati. È ingiusto considerarli come una massa indistinta e valutarli in blocco sulla base dei comportamenti di alcuni che non rispettano la civile convivenza. I primi a dissociarsi dai loro loschi traffici sono gli stessi immigrati onesti. Che sono la maggioranza.

Altri comportamenti degli stranieri possono darci fastidio e disturbare le nostre abitudini. Ma potrebbe essere una buona occasione per riflettere su noi stessi. Mi è capitato, di recente, di fare un viaggio in treno su una tratta locale, una domenica pomeriggio. Il vagone era pieno di badanti e domestiche, che tornavano da incontri con loro connazionali in una città vicina. C’era un chiasso indescrivibile, ma anche un’esuberanza e una gioia di vivere che sembrano scomparse alle nostre latitudini.

Quando sento esprimere, con rammarico, che Milano sembra una città africana, mi viene da ribattere: «Magari lo fosse!». Solo nella nostra ristretta mentalità l’Africa è sinonimo di disordine e sporcizia. Essa è, invece, anche ritmo e convivialità, sorrisi e solidarietà. Bisognerebbe farsi raccontare dai missionari quanto hanno ricevuto dalle popolazioni africane in ricchezza di umanità. Tornati in Italia, alcuni di loro si sentono come esiliati in patria.

In merito alla proposta delle classi separate, cara Loredana, il problema che tu sollevi è reale, non sempre le soluzioni indicate erano condivisibili. Tutto dipende se vogliamo veramente integrare gli stranieri o rendere la vita così difficile da costringerli a "togliere il disturbo" dal nostro Paese. Che i figli di immigrati possano aver bisogno di un supplemento di lingua e di educazione civica, ciò è condivisibile, purché non sia questa una ragione per segregarli con corsi a parte. (Non dimentichiamo, poi, che di educazione civica avrebbero maggiormente bisogno anche i nostri scolari italiani!).

Forse gli insegnanti ci diranno che la presenza in classe di stranieri è una grande opportunità di co-educazione. Confrontarci con culture e tradizioni diverse è anche un’occasione per essere più consapevoli del nostro patrimonio. Pensiamo, ad esempio, ai diritti delle donne. In altre culture la donna ha un ruolo sociale inferiore all’uomo. Nella nostra società non potremmo accettarlo. Ma quanto avrebbero da imparare i nostri ragazzi sul maschilismo diffuso, se si aprisse un confronto. Educarsi insieme a forme più civili di socialità: ecco un programma davvero promettente!


D.A.
"

mercoledì 4 marzo 2009

La verità

Parliamo tanto di libertà, ma quando si tratta della libertà degli altri non siamo più così certi di volerla.

Vogliamo che tutti rispettino la legge, ma se possiamo evadere le tasse o non pagare l'autobus, non siamo più così certi di volerla rispettare.

Tutti gli zingari sono ladri, tutti gli albanesi sono spacciatori, tutti i rumeni sono stupratori, tutti gli ebrei sono tirchi. Quindi tutti gli italiani sono mafiosi?

Il buon senso e l'intelligenza dicono che non si può fare di tutta l'erba un fascio. Dobbiamo pretendere che la nostra sicurezza sia assicurata, che chi si comporta in modo illegale venga arrestato o espulso.

Ma non è corretto discriminare chi in modo onesto e pacifico vive a fianco a noi. Anche se parla in un'altra lingua, o non ha la pelle chiara, oppure ha tradizioni differenti dalla nostre.

Il razzismo e la violenza gratuita sono l'espressione di chi è insicuro ed ha paura di confrontarsi con le persone diverse dal proprio standard.