mercoledì 29 luglio 2009

Unità d'Italia??

Sempre dal settimanale Famiglia Cristiana, riporto quest'altro articolo, che mi sarebbe piaciuto leggere anche su quotidiani e settimanali della cosiddetta "sinistra italiana".

È ancora una nazione questa Italia lacerata da crescenti tensioni tra nordisti e sudisti, senza più senso di appartenenza e identità? Disfatta l’Italia siamo passati a disfare gli italiani.

Nessuno ha chiesto scusa a Mohamed Hailoua, il giovane marocchino, residente in Italia dal 2004, escluso dall’assunzione all’Atm di Milano perché extracomunitario e poi riammesso dal tribunale del lavoro, che ha definito "discriminatorio" il comportamento dell’azienda trasporti milanese.

Come nessuno chiederà scusa ai presidi del Sud che il Consiglio provinciale di Vicenza non vuole dalle loro parti; o al ragazzo napoletano costretto a cambiare scuola a Treviso perché emarginato e offeso dai compagni.

Ebbene, lo facciamo noi a nome della gran parte degli italiani che ancora si indigna e rifiuta una deriva xenofoba. È il risultato di una politica che mira a escludere non a integrare; e che si sta declinando in una miriade di fatti preoccupanti in tutto il territorio: dalle botte alla signora senegalese in un giardino pubblico di Torino, ai pesanti e volgari cori contro i napoletani nei raduni leghisti.

In mezzo c’è la richiesta di non far salire cinesi e zingari sugli autobus di Firenze, perché "puzzano"; quella dei vagoni della metropolitana di Milano riservati agli italiani; la negazione della cittadinanza a un egiziano nella Bergamasca perché non conosce bene la grammatica italiana (proviamo a fare lo stesso con i nostri connazionali?). La "cattiveria politica", sdoganata da un ministro della Repubblica, è entrata nelle scelte di vita quotidiana, e ogni azione che "separa" è accolta dal grido: «Finalmente, era ora!». Il professor Alessandro Campi, direttore della Fondazione Fare futuro di Gianfranco Fini, ha commentato: «La Lega e il leghismo hanno vinto la loro scommessa disgregante sul piano emotivo, mentale e della sensibilità collettiva».

È un’amara constatazione, mentre ci si avvia alla celebrazione dei 150 anni dall’unità d’Italia. È ancora una nazione questa Italia lacerata da crescenti tensioni tra nordisti e sudisti, senza più senso di appartenenza e identità, tutti contro tutti, e ciascuno per suo conto, come scrive il sociologo Ilvo Diamanti? Non ci va più bene neppure Cinecittà a Roma, ora si invoca Cinepadana per purificare l’accento troppo romanesco delle fiction tivù. Anche Sordi, l’Albertone nazionale, rischia di finire sacrificato sull’altare del "sacro egoismo territoriale", diventato strumento di consenso. E, spesso, di ricatto.

L’ultima trovata di una "politica creativa" si è avuta durante il dibattito sul decreto anticrisi: «Non perdiamo di vista l’obiettivo della tutela delle famiglie e delle imprese del Nord, perché saranno loro a tirarci fuori dalla crisi». Parola di un deputato del Carroccio. Benvenuti, quindi, nella nuova "disunità d’Italia". Disfatta la nazione, siamo passati a disfare gli italiani! E così assistiamo alla nascita di un partito del Sud, mentre il Nord si arrocca nella sua presunta purezza padana, e il criterio della residenza viene annoverato tra i diritti per accedere a un posto di lavoro.

E anche l’integrazione degli immigrati si vela di discriminazione se il ministero delle Pari opportunità propone una commissione per la salute delle donne immigrate. E per i maschi irregolari? Non ci vorrà molto tempo, di questo passo, per sradicare dalla coscienza del Paese l’art. 3 della Costituzione italiana. Lo riproponiamo, perché ognuno rifletta: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Vogliamo ancora essere una nazione?

NEL PIENO RISPETTO DELLA LEGALITÀ

Riporto qui di seguito la risposta che Don Antonio, del settimanale Famiglia Cristiana, scrive ad una signora "bene" del nord-est italiano.

Al Meeting Anti-razzista di Cecina, il 12 luglio 2009, Moni Ovadia ha definito Famiglia Cristiana come il foglio più rivoluzionario che attualmente esiste in Italia.


"Sono un’abbonata 55enne e leggo la rivista da quand’ero bambina. Apprezzo Famiglia Cristiana, ma voglio manifestarle qualche perplessità su alcune vostre posizioni in merito all’immigrazione. Abito in un quartiere di una città del Nordest. In mezzo alle casette e ai piccoli condomini della mia zona (considerata peraltro "periferia povera"), per anni abbiamo dovuto subire la presenza indisturbata di giovani nordafricani dediti allo spaccio e alle ubriacature, di prostitute con il loro giro di clienti, nonché di drogati.

Abbiamo assistito a zuffe e accoltellamenti, con persone finite in ospedale e, in due casi, conclusi con l’omicidio. L’aumento della sporcizia ha portato a situazioni igieniche inimmaginabili. Che fare quando vigili urbani, polizia e carabinieri, quelle poche volte che vengono, chiamati da cittadini esasperati, se ne vanno senza intervenire? Che fare, dopo aver spedito decine di lettere, esposti e denunce ai nostri amministratori?

Ebbene, quando abbiamo deciso di scendere in strada per disturbare con la nostra presenza spacciatori, prostitute e clienti, apriti cielo! I giornalisti, e anche voi, vi siete scatenati, chiamandoci "ronde" in modo spregiativo, mentre il nostro intento non era né violento né razzista! Sappia che nel mio quartiere ci sono associazioni di volontariato (cattoliche e non) che aiutano gli immigrati onesti a trovare casa e lavoro, assistono i loro bambini a scuola e tengono corsi di italiano per gli adulti. È razzismo chiedere che l’illegalità venga combattuta? Tutti vogliamo che gli immigrati si integrino, ma possiamo pretendere il rispetto delle regole di una civile convivenza? È giusto aiutare chi sbarca in Italia fuggendo da povertà e guerre (nessuno potrà fermarli), ma non si può lasciare che questa gente sia allo sbando nelle nostre città.

Insegno in una scuola superiore e, come nel resto d’Italia, anche nel mio Istituto abbiamo visto crescere, anno dopo anno, il numero di alunni stranieri. Sono convinta che culture e tradizioni diverse aprano la mente dei nostri ragazzi, e li arricchiscano spiritualmente e culturalmente. Ma, al tempo stesso, ricordo quante difficoltà ho avuto con i "nuovi" alunni provenienti da altri Paesi. Per questo, ho ritenuto molto positiva la soluzione del Governo di fare delle classi separate e, dopo qualche mese di corsi intensivi di lingua italiana (e, perché no, di conoscenza della nostra cultura e delle nostre tradizioni), metterli assieme agli altri alunni. Perché tacciare di razzismo questa proposta? I problemi epocali che stiamo vivendo non saranno risolti facilmente, ma bisognerà pur governare l’emergenza.

Ci tengo a precisarle che non sono iscritta ad alcun partito, e che il mio intervento non ha alcuno scopo politico. Anzi, se deciderà di pubblicare la mia lettera, lo faccia dopo le elezioni! La saluto con tanta cordialità.

Loredana - Padova



Le tue due richieste, cara Loredana, mi sembrano entrambe ragionevoli e condivisibili. Riguardano tutt’e due il trattamento sociale da riservare agli immigrati e il rifiuto di considerare alcune misure restrittive come razzismo.

È razzismo esigere che venga rispettata la legalità, combattuto il crimine e contrastato il degrado urbano? Direi proprio di no. Purché queste esigenze valgano per tutti. Al di fuori della legge, purtroppo, non vivono solo gli immigrati, ma anche tanti nostri connazionali. Alcune imprese criminali (traffico di droga, sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù dei lavoratori irregolari, trasformazione delle abitazioni in dormitori per clandestini...) sono opera congiunta di delinquenza di casa nostra assieme a quella di importazione. Talvolta, i nostri sono la mente, gli stranieri solo il braccio. Non è buonismo se chiediamo che la legge e l’ordine siano fatti rispettare anche dagli italiani: se non si agisce su tutto il sistema criminale, ogni sforzo di repressione è inutile.

Un’altra condizione per non essere accusati di razzismo è saper distinguere tra gli immigrati. È ingiusto considerarli come una massa indistinta e valutarli in blocco sulla base dei comportamenti di alcuni che non rispettano la civile convivenza. I primi a dissociarsi dai loro loschi traffici sono gli stessi immigrati onesti. Che sono la maggioranza.

Altri comportamenti degli stranieri possono darci fastidio e disturbare le nostre abitudini. Ma potrebbe essere una buona occasione per riflettere su noi stessi. Mi è capitato, di recente, di fare un viaggio in treno su una tratta locale, una domenica pomeriggio. Il vagone era pieno di badanti e domestiche, che tornavano da incontri con loro connazionali in una città vicina. C’era un chiasso indescrivibile, ma anche un’esuberanza e una gioia di vivere che sembrano scomparse alle nostre latitudini.

Quando sento esprimere, con rammarico, che Milano sembra una città africana, mi viene da ribattere: «Magari lo fosse!». Solo nella nostra ristretta mentalità l’Africa è sinonimo di disordine e sporcizia. Essa è, invece, anche ritmo e convivialità, sorrisi e solidarietà. Bisognerebbe farsi raccontare dai missionari quanto hanno ricevuto dalle popolazioni africane in ricchezza di umanità. Tornati in Italia, alcuni di loro si sentono come esiliati in patria.

In merito alla proposta delle classi separate, cara Loredana, il problema che tu sollevi è reale, non sempre le soluzioni indicate erano condivisibili. Tutto dipende se vogliamo veramente integrare gli stranieri o rendere la vita così difficile da costringerli a "togliere il disturbo" dal nostro Paese. Che i figli di immigrati possano aver bisogno di un supplemento di lingua e di educazione civica, ciò è condivisibile, purché non sia questa una ragione per segregarli con corsi a parte. (Non dimentichiamo, poi, che di educazione civica avrebbero maggiormente bisogno anche i nostri scolari italiani!).

Forse gli insegnanti ci diranno che la presenza in classe di stranieri è una grande opportunità di co-educazione. Confrontarci con culture e tradizioni diverse è anche un’occasione per essere più consapevoli del nostro patrimonio. Pensiamo, ad esempio, ai diritti delle donne. In altre culture la donna ha un ruolo sociale inferiore all’uomo. Nella nostra società non potremmo accettarlo. Ma quanto avrebbero da imparare i nostri ragazzi sul maschilismo diffuso, se si aprisse un confronto. Educarsi insieme a forme più civili di socialità: ecco un programma davvero promettente!


D.A.
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